sabato 20 febbraio 2010

Morto nell'indifferenza generale


Un grande necrologio "provocatorio" sulla prima pagina del nostro quotidiano 'la Nuova Ferrara', dedicato a Sahid Belamel, straniero e clandestino, morto dal freddo a San Valentino dopo essere stato per molte ore nudo e ferito ai bordi di una strada senza che nessuno lo soccorresse. Voluto dal direttore Paolo Boldrini per scuotere la città su tanta indifferenza

Ha scosso la coscienza della città il grande necrologio pubblicato sulla prima pagina della "Nuova Ferrara" dedicato a Sahid Belamel, straniero e clandestino, morto per il freddo la mattina di San Valentino dopo essere stato per molte ore nudo e ferito ai bordi di una strada senza che nessuno lo soccorresse. Il necrologio che ricorda lo sconcertante episodio ha fatto sobbalzare molti ferraresi che hanno inviato al giornale riflessioni e interventi sul caso del giovane magrebino morto perchè nessuno ha chiamato i soccorsi. «Sono amareggiato dall'indifferenza dei miei concittadini» scrive un ragazzo ferrarese che vive in una grande città europea. «Se l'intolleranza nei confronti degli immigrati - scrive un'altra lettrice - è salita a livelli inconcepibili, è perché sono state alimentate ad arte le paure inconsce della popolazione che si sente autorizzata ad esternare i pensieri più biechi e sempre più spesso dalle parole ai fatti».

Il necrologio provocatorio è stato apprezato anche da Roberto Natale, presidente della Fnsi che ha inviato alla redazione una lettera in cui «ringraziazia il direttore Boldrini e tutta la redazione de "La Nuova Ferrara" per la scelta di ricordare, in maniera giornalisticamente così incisiva, il giovane nordafricano. La nostra informazione - prosegue Natale - sui temi dell'immigrazione è troppo spesso un moltiplicatore dei germi di razzismo e xenofobia: quasi sempre senza rendercene conto, diffondiamo paure, stereotipi, pregiudizi. Proprio per contrastare questa deriva la Fnsi ha deciso - insieme all'Ordine - di varare la "Carta di Roma", cioè un protocollo deontologico che richiama ogni giornalista ad usare con precisione i termini, a non ridurre il fenomeno dell'immigrazione ad una questione di sicurezza, a non parlare soltanto di singole vicende di cronaca ma a dare la consistenza reale della questione, nelle sue ombre e nelle sue luci».


Il giornale pubblica anche l'intervento del sindaco Tiziano Tagliani, dell'arcivescovo monsignor Paolo Rabitti e di don Domenico Bedin, sacerdote di "frontiera" che si occupa dei problemi di immigrazione e gestisce un'associazione per la prima coglienza di chi si trova in difficoltà. «Stiamo perdendo di vista il vero senso della vita - scrive il sindaco Tagliani - con un forte individualismo a scapito dei valori comuni e universali che ci sono stati consegnati dai nostri antenati e che abbiamo il dovere di mantenere vivi per noi e per i nostri figli. La morte di Sahid Belamel ci costringe a meditare». L'arcivescovo Paolo Rabitti nel suo fondo scrive «Così muore la pietà» e paragona l'episodio ferrarese alla parabola evangelica del Buon Samaritano... «fui visto da molti e lasciato nello stato di abbandono, senza vestiti e malfermo e, perciò, abbandonato al suo destino. Così anche Ferrara, dopo altre città, entra nel novero delle comunità umane ad alto tasso di disumanità. Così i giovani, che sembrano tutt'uno quando varcono le discoteche, nel momento in cui uno di loro sballa e "sbiella", lo lasciano al loro destino».

Don Domenico Bedin lancia un confronto con un'altra giovane morte che ha scosso i ferraresi, quella di Federico Aldrovandi. «Il far finta di non vedere - scrive il sacerdote - per non compromettersi, è stata la costante anche della vicenda di Federico, rotta solo da una camerunense che in qualche modo ci ha redenti. Ma non abbiamo imparato la lezione».
«Non avevo fatto questa associazione, ma è vero - commenta Patrizia Moretti, la mamma di Federico - ripensando ad Anne Marie e al suo senso civico, mi viene da dire che molto più di noi gli immigrati hanno mantenuto intatto quel senso di solidarietà e fratellanza che da noi è andato perduto. Siamo diventati più chiusi e individualisti, abbiamo perso la capacità di empatia nei confronti del prossimo. Qualità che invece le popolazioni più povere hanno conservato, come i bambini. Mi fa pensare ai racconti di mio nonno, quando mi parlava della guerra e dei pericoli e delle privazioni che la gente allora doveva affrontare. Ma che proprio per quei pericoli e quelle privazioni era più portata a tendere la mano verso gli altri, a sostenersi l'un l'altro. Ecco, questo credo sia il grande insegnamento che gli immigrati possono riuscire a darci». (La nuova Ferrara)

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