"Mai pentiti di quella protesta"
A 40 anni dal pugno di Mexico '68
Tommie Smith e Lee Evans a Roma ricordano il gesto che stupì il mondo
Una scelta che segnò la loro vita.
ROMA - Ingrigiti e un po' appesantiti. Sicuramente non più veloci come quarant'anni fa. Ma con la stessa consapevolezza, che avevano nell'ottobre del 1968, quando a Città del Messico, stupirono il mondo. Tommie Smith e Lee Evans, gli uomini jet dell'Olimpiade messicana, a Roma per festeggiare i 50 anni di lavoro dell'amico Gianni Minà.
Dalla pista alla medaglia fu un soffio: record del mondo su 200 e 400 e oro per entrambi. Quello che successe durante la premiazione è storia: Smith e il compagno John Carlos, primo e terzo sul mezzo giro di pista, scalzi tranne le calze nere sul podio, con il pugno guantato chiuso e il capo chino mentre suonavano le note di "The Star - Spangled Banner". Evans, che stracciò il primato sul giro di pista, si avviò a ritirare la medaglia d'oro, con l'aria scanzonata del suo basco nero. In realtà era serissimo, sicuro che stessero per sparargli. Ma si diceva, ridi, Lee, ridi, perché è più difficile sparare a un uomo che ride.
Anche lui alzò il pugno sul palco. Black Power: l'orgoglio di uomini che erano stufi di essere trattati come cani da corsa. Negli anni in cui James Brown cantava: "Sono nero e me ne vanto". Nessuno avrebbe più dimenticato. Gli tolsero le medaglie e li cacciarono dai Giochi. L'America lacerata promise vendetta. "Se ne pentiranno per il resto della loro vita", disse Payton Jordan, capo della rappresentativa statunitense. Avvertimenti più spicci e minacce di morte li accolsero al loro rientro in patria.
Mai pentiti. Ma nessun pentimento. Lo confermano quarant'anni dopo loro stessi, intervenendo alla presentazione della ressegna "Una vita da cronista - Gianni Minà 50 anni fuori dal coro". Hanno pagato, questo sì. Tommie Smith, oggi ha 64 anni. Chiuse con l'atletica a 24, (mentre il suo primato resistette ancora 11 anni prima di venire battuto da Pietro Mennea). Per 10 anni non ha potuto trovare lavoro nonostante due lauree: in educazione fisica e sociologia. La vendetta del suo Paese. Non è andata meglio a Lee Evans, anche lui proveniente dalla "San José State University". Ci sono voluti 21 anni prima che Butch Reynolds battesse il suo primato. Lui aveva già lasciato gli Stati Uniti da un pezzo. Destinazione Africa sulle tracce dei suoi antenati. Ha trascorso sei anni in Nigeria, due in Camerun e Madagascar, insegnando atletica a talenti che non hanno mai avuto buoni antenati. Senza mai rinnegare la sua scelta.
"Volevamo rappresentare l'altra faccia del nostro Paese - racconta Smith -. Dare voce a un sentimento che sentivamo il bisogno di esprimere: la consapevolezza di essere oppressi, fin dalla nascita. Correre non era l'unica cosa che sapessimo fare". Una decisione libera, che poco aveva a che fare con la militanza. "Non mi reputo un militante - spiega Smith -. "Abbiamo deciso di affrontare un problema di cui nessuno si curava, senza preoccuparci del giudizio degli altri. Abbiamo compiuto un sacrificio sperando di spianare la strada ai ragazzi dopo di noi, perchè avessero un'opportunità".
Verso Pechino.
Saranno questi atleti tra qualche mese a scendere in pista ai Giochi di Pechino. Ancora Olimpiadi contestate, quarant'anni dopo. Ma cosa farebbero oggi gli eroi di Città del Messico? "Le Olimpiadi di Pechino - dice Smith - ci portano a riflettere sul contesto mondiale. E ci fanno capire che l'atletica è ancora politica. So cosa cosa significhino i diritti umani negli Stati Uniti, non conosco la situazione in Cina. A Pechino l'atmosfera politica sarà molto più forte rispetto a Città del Messico. Quello che farà ciascun atleta verrà esaminato al microscopio. Comunque dobbiamo pensare a Pechino come a un evento allegro. Del resto parleremo tra tre mesi. Diciamo che non vorrei trovarmi al loro posto. Da quarant'anni vivo molto più prudentemente".
5 commenti:
Per difendere la loro idea, hanno rischiato (e visto distruggere) la loro carriera...
quanti campioni di oggi, lo farebbero?
pochi forse...
lo sport ormai è sul serio politica e nonostante ci si sforzi di liberarlo da questa gabbia meno si ottiene...
quando ad olimpia si svolsero le prime olimpiadi lo sport era una prova di forza, una guerra che terminava con la sconfitta se non addirittura la morte dell'avversario...ma a quel tempo il tutto aveva un senso...lo spirito dei giochi era vivo...era l'onore della città che contava...la forza e il coraggio del migliore erano al servizio di ideali che si combattevano in modo regolare anche se senza esclusione di colpi...la gloria e l'onore erano tutto.
oggi lo sport non è altro che un mero mezzo per fare politica...
e questo non è giusto per gli atleti che mettono l'anima in quello che fanno, mettono amore e sacrificio per esaltare il nome di una nazione che magari non li rispetta e al contrario li sfrutta a scopi politici...
lo sport deve essere libero da questa gabbia opprimente...altrimenti il suo spirito morirà di certo...
sempre che non sia morto già quando la fiaccola si è spenta...
se ci ripenso ho le lacrime...
tutti oggi hanno troppa paura...
non è prudenza ma paura...
Adesso lo fanno solo e dico solo per fama e soldi...Nessuno per l'ideale di nazione e libertà...Solo ad partecipare alle prossime olimpiade ci vuole un bel coraggio a dire che e nel rispetto della uguaglianza e dello spirito sportivo....
ciao a tutti
Браво, фантастика )))) [url=http://tutledy.ru/zhenshchina-i-muzhchina/103.html]женщина и мужчина[/url]
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