mercoledì 16 aprile 2008

elezioni 2008

Dove hanno fallito i nostri “comunisti”
di Igor Jan Occelli
Io, che ho passato la gioventù da perfetto ragazzo di sinistra dei centri sociali, vi spiego dove l’Arcobaleno ha tragicamente fallito.
“Tirez le rideau, la farce est jouèe” (chiudete il sipario, la farsa è finita), avrebbe forse detto Rabelais assistendo alla scomparsa della Sinistra Arcobaleno. Già, perché i protagonisti di questa nuova compagine elettorale non si sono accorti di essere degli attori che parlavano ad una sala vuota. Non hanno neanche immaginato di essere anacronistici e fuori luogo: giullari di corte nell’era democratica. E lo dico con un tuffo al cuore, con il ricordo di quando ancora credevo alle loro parole. Ebbene sì, mi presento: sono uno di quelli che per anni ha votato per loro. Uno dei ragazzi romani che l’adolescenza l’ha passata nei centri sociali. Che andava alle loro manifestazioni e credeva nelle loro parole. Uno per cui tutte le chiacchiere che adesso girano sul presunto colpevole di questa disfatta, il tanto odiato voto utile, non trovano spazio. Per me, loro oramai molto ex elettore, ecco chi sono i responsabili.
Primo, il capo assoluto. Lui, sempre e solo lui: Fausto Bertinotti. Uno che non si capisce se tiene più al potere o alla pipa. Voleva un “ruolo istituzionale” quando è entrato al governo e Prodi lo ha subito accontentato. Ma appena uscito non c’è stato spazio per nessuno: a guidare la Sinistra Arcobaleno poteva essere solo un uomo, se non altri che lui. Ed è proprio a Bertinotti che vanno imputate le colpe maggiori. Il suo parlare snob, la sua grande cultura e i suoi modi intellettualoidi faranno presa sui figiciotti, sui figli di papà che amano votare a sinistra, ma alla gente come me fanno rabbia. Può dire quante volte vuole che lui i suoi maglioni li compra al mercato di via Sannio, ma credo che l’unica cosa che conosca di questo mercato sia la sua ubicazione geografica.
Se mai ha pensato di rappresentare una fantomatica quanto oramai inesistente classe operaia farebbe bene a capire una cosa: si è sbagliato. L’operaio quanto lo sente parlare cambia canale. L’operaio di una persona come lui non sa che farsene. Ma forse il signor Bertinotti, troppo abituato a frequentare i salotti buoni, non si è accorto che noi, gli ultimi, i poveri, della sua faccia ne avevamo abbastanza. Neanche quando il vento si è alzato e sono usciti fuori i movimenti ha pensato bene di sloggiare o ringiovanire il suo partito. Con i vecchi metodi imparati alla famosa scuola di Ariccia (il centro dove venivano formati i dirigenti comunisti) ha pensato bene di inglobarli a sé. Ci ha provato, vedi il caso Caruso, ma ha fallito perché non ha capito che le istanze di questi erano diverse da quelle sue e del suo partito. Ma lui niente, imperterrito al suo posto. E intanto noi, gli ultimi, i poveri, lo sentivamo parlare di “lotta di classe”, “classe operaia” altre cose di questo tipo, ma volevamo gridargli una cosa che forse non sapeva: “Abbiamo una notizia per lei signor Bertinotti: il comunismo è morto! Caput! Fine!”.
Nella sua ignoranza completa della vita, quella vera, non ha capito che in Italia il tessuto imprenditoriale è rappresentato per il novanta percento da microimprese con meno di cinque dipendenti. Aziende dove nella stragrande maggioranza dei casi dipendenti e imprenditori lavorano fianco a fianco. Dove la “lotta di classe” non si sa dove stia di casa. Evidentemente a lui questo ad Ariccia non l’hanno insegnato, o forse era assente a quella lezione.
Secondo, i Verdi. Anche loro hanno gran parte della colpa. La loro radicalizzazione sulle questioni ambientali da molti può essere vissuta come coerenza, per noi, sempre noi, gli ultimi, i poveri, è vista come intransigenza. Come incapacità di accettare la dialettica democratica. Il compromesso è il sale di questa, mentre i “no” duri e puri ne sono estranei. In tutti questi anni hanno detto no a tutto, dalla Tav ai termovalorizzatori, senza mai però portare sul tavolino alternative valide: o utopia o niente. Le colpe del disastro napoletano ricadono anche su di loro, in primis Pecoraro Scanio, perché non hanno saputo analizzare a fondo la questione dei rifiuti così com’è nel capoluogo campano, con le discariche completamente in mano alla camorra. Lì, dire no a qualcosa vuol dire condannare la gente a morire.
Terzo, Diliberto. E siamo giunti al momento clou: il partito dei comunisti italiani. O meglio al loro leader. Perché è lui che ha mandato via molti di noi, ancora gli ultimi, i poveri, dallo schieramento della Sinistra Arcobaleno. Perché quando dice di voler portare la salma di Lenin in mostra a Roma la si prende per una battuta, anche se non lo è. Ma quando vola a Cuba a firmare un protocollo d’intesa con Fidel Castro, a noi ci viene la pelle d’oca. Siamo cresciuti con il sogno del Che, ma ci siamo svegliati quando abbiamo capito che quello cubano era un regime cche si può descrivere con un solo termine: dittatura. E quando uno Stato non permette ai propri cittadini di esprimere liberamente il proprio pensiero, non c’è intesa che possa esserci. Tanto più se si è il leader di un partito che ha nel nome la parola Italia, che per lui dovrebbe essere sinonimo di democrazia e repubblica. Sarebbe stato quindi impensabile, per la gente come me, votare una persona come lui.
Partendo da questo spero davvero che tutti insieme siano capaci di guardare in faccia la realtà. Non nascondersi dietro la solita foglia di fico e pensare di costruire davvero qualcosa di alternativo ai due schieramenti. Ne avremmo bisogno tutti quanti, noi ex loro elettori, ma anche tutta l’Italia.

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