domenica 28 dicembre 2008

I CORPI PRESENTANO TRACCE DI VIOLENZA CARNALE

I corpi presentano tracce di violenza carnale è allo stesso tempo uno dei film meno noti e uno dei migliori di Sergio Martino; dopo aver raggiunto esiti diseguali con la trilogia del thriller erotico con la Fenech -Lo strano vizio della signora Wardh (1970), Tutti i colori del buio (1972), Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972)- e aver prestato un dignitoso contributo alla stagione del thriller animalesco/argentiano –La coda dello scorpione (1971)-, e prima del successo enorme del suo esordio nei generi a cui si dedicherà di più, la commedia sexy -Giovannona coscialunga disonorata con onore (1973)- e il poliziottesco –Milano trema, la polizia vuole giustizia (1973), Martino firma il suo ultimo –purtroppo- thriller che è anche quello che si avvicina di più all’horror vero e proprio. Come racconta lo stesso Martino il titolo originariamente da lui pensato (e in effetti ben più attinente alla trama del film) era “I corpi non presentano tracce di violenza carnale”; i raffinati produttori, seguendo evidentemente l’antica regola di pubblicizzare solo ciò che si offre e mai qualcosa che si toglie, abolirono il “non”.

Ai produttori però va riconosciuto il merito di aver suggerito l’ambientazione alla facoltà di Storia dell’arte dell’Università di Perugia (per poter utilizzare verosimilmente il cast internazionale in un set italiano e allo stesso tempo ottenere facili permessi comunali), scelta che si rivela assolutamente felice (in realtà il paesino della seconda parte del film è Tagliacozzo, in Abruzzo, e alcune riprese vennero effettuate anche a Orte). La trama di per sé può sembrare banale a chi non ha visto il film, dunque la riassumo molto brevemente: alla suddetta Facoltà di Storia dell’arte un maniaco col volto coperto da un passamontagna e armato di coltellaccio fa strage di studentesse e cava loro i bulbi oculari (e fin da questo particolare si capisce che il film deve aver ispirato Lenzi per Gatti rossi in un labirinto di vetro) e a quanto pare violentandole pure -ma ho già detto come questo dettaglio sia stato aggiunto posticciamente a film finito. Mentre il commissario non sa che pesci pigliare un gruppo di studentesse decide di rifugiarsi per il weekend nella casa di campagna di una di esse, ma l’assassino le segue.

Sarà il loro ombroso amico Stefano (Bisacco) che non riesce ad andare a puttane? O il bel professore dagli occhi azzurri (Richardson) per il quale Jane (Kendall) si sta prendendo una cotta? O il maturo zio (Alighiero) di una delle ragazze che ha una relazione con un’amica della nipote? O il misterioso medico (Merenda, attore feticcio di Martino in quegli anni) stile Dr. Kildare credibile quanto l’omologo maschile di un’infermiera sexy con calze bianche e tettone? Non rovino la sorpresa a chi non ha visto il film, ma assicuro che al di là della sceneggiatura (firmata da Martino con il solito Ernesto Gastaldi) ne varrebbe la visione lo stesso, tanto l’impatto visivo della pellicola è riuscito. Innanzitutto si noti il look punk dell’assassino –che nel suo essere senza volto sembra addirittura anticipare Micheal Mayers!- lontano dall’abusato stereotipo argentiano del killer con l’impermeabile scuro e il cappello. Perfino l’austero Mereghetti ammette che in questo caso Martino si dimostra capace di una “suspense magistrale” e di un “uso notevole della distanza e del grandangolo”.

E’ soprattutto negli USA che il film – col titolo Torso- è diventato un cult ed è stato riconosciuto come un precursore, più che un capostipite, del filone slasher degli anni ’80. Il film è anche la prima collaborazione con i fratelli Guido & Maurizio De Angelis che firmano dei temi musicali che non lasciano respiro uno dei quali viene riutilizzato, in una versione diversa, anche in Milano trema, la polizia vuole giustizia. I titoli di testa del film, in cui vediamo una macchina fotografica che immortala scene di un’orgia (che alla fine risulterà avere un’attinenza con la trama), appaiono sgranati dalla messa a fuoco per via della censura, ma sono invece ben messi a fuoco e molto più sessualmente espliciti nella versione estera del film. Tuttavia, anche con i nudi sgranati il film ottenne il divieto ai minori di 18 anni. Numerose le scene indimenticabili, su tutte quella cattivissima, di cui Martino è giustamente orgoglioso, della Kendall chiusa a chiave dentro una stanza che cerca di far passare la chiave sotto la porta con un giornale, mentre l’assassino è lì fuori che la aspetta e diabolicamente le facilita la presa della chiave addirittura imboccandogliela. Scena senza antecedenti ma con molte imitazioni, a partire ancora una volta da Gatti rossi in un labirinto di vetro di Umberto Lenzi che la rifà quasi uguale (con Ines Pellegrini al posto di Suzy Kendall e una sciarpa al posto del giornale) suscitando l’entusiasmo di tutti i fan del genere che non hanno visto I corpi presentano tracce di violenza carnale.
Marco De Annuntiis

1 commenti:

Giacomo ha detto...

Ho letto la recensione e mi è venuta voglia di vederlo... la scena della porta devo avrela vista ma non ricordo in quale film.