martedì 15 luglio 2008

LE BUONE NOTIZIE DAL DARFUR

“Good news for people in Darfur”. Così i gruppi ribelli hanno salutato la notizia, ormai confermata dal dipartimento di Stato americano e da fonti Onu e diplomatiche, che il procuratore generale del tribunale delle Nazioni Unite, il magistrato argentino Luis Moreno-Ocampo, emetterà lunedì un mandato d’arresto nei confronti del presidente sudanese al-Bashir. Le prove a carico saranno presentate ai giudici dell’Aia, i quali, se le riterranno sufficienti, dovranno incriminarlo ufficialmente entro un paio di mesi. I reati ipotizzati sono genocidio e crimini contro l’umanità. La reazione di Khartoum non si è fatta attendere e il mandato d’arresto è stato già definito un “piano criminale”. L’ambasciatore sudanese presso le Nazioni Unite, ‘Abdalmahmoud ‘Abdalhaleem Mohamad, ha dichiarato che “Moreno-Ocampo gioca con il fuoco....accusare il simbolo dell’autorità nel nostro paese è una faccenda seria e ci saranno gravi ripercussioni”. Se l’incriminazione dovesse divenire ufficiale, al-Bashir - generale che salì al potere con un colpo di stato nel 1989 - sarebbe il primo Capo di Stato in carica a sedere davanti ai giudici del Tribunale dell’Aia.

Tuttavia, il Sudan ha già reso noto di non riconoscere l’autorità della Corte penale internazionale e che pertanto non è disposto a consegnare il Presidente; d’altronde un identico rifiuto ha riguardato precedentemente due mandati d’arresto spiccati nei confronti dell’ex-ministro dell’Interno Ahmed Harun (oggi ministro degli Affari Umanitari!) e il leader delle milizie arabe ‘Ali Kosheib. I portavoce del governo di Khartoum ritengono che le accuse poggino su motivi politici. Vedono in quest’azione l’ultimo passo di una volontà cospirativa nei confronti del loro Paese, espressa già tramite le sanzioni e tentativi di pressione diplomatica sui paesi vicini. Secondo i media egiziani, al-Bashir avrebbe già chiesto alla Lega Araba di tenere un’assemblea dei ministri degli esteri al fine di ottenere il loro sostegno.

Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon mantiene per il momento una posizione prudente in attesa di valutare la situazione una volta che sarà ufficializzata la decisione del Tribunale. Tuttavia, proprio alcuni giorni fa aveva dichiarato:“In linea di principio, credo che la pace e la giustizia debbano andare di pari passo”. La crisi nella provincia occidentale del Darfur è solo la storia più recente, ma l’intero Paese è già passato attraverso 19 anni di guerra civile che ha visto contrapposte la parte araba e musulmana del nord e quella cristiana e animista del sud, con milioni di vittime soprattutto fra quest’ultimi.

Gli scontri nel Darfur, scoppiati nel febbraio 2003, iniziarono quando una minoranza di combattenti di etnia africana prese le armi contro il regime dominato, invece, da arabi. Il governo, pur negando pubblicamente il proprio appoggio, ha fornito armi e assistenza alle milizie islamiche dei Janjawid – nome composto dai termini ginn [demone] e jawād [cavallo] - anche se loro preferiscono la denominazione di mujāhidīn (che richiama invece a coloro che combattono la jihad). Il governo è accusato, inoltre, di aver partecipato ad attacchi congiunti diretti contro alcuni gruppi etnici specifici. I dati Onu calcolano un bilancio di 300.000 morti e più di 2.2 milioni di profughi, nonostante il governo sudanese sia piuttosto critico riguardo queste cifre e le sue stime risultino infinitamente minori: circa 10.000 morti.

La domanda ora che in molti si pongono, al di là della solidarietà scontata al lavoro del tribunale penale internazionale, è quali ripercussioni a livello pratico potranno esserci con l’incriminazione del presidente sudanese. In particolare, data la reazione piuttosto aggressiva di Khartoum, alcuni temono un effetto destabilizzante nei confronti della missione di pace che le truppe dell’Unione Africana e dei caschi blu – un contingente di circa 10.000 uomini – sta portando avanti in Darfur; cadrebbe, inoltre, la possibilità di inviare nuove truppe.

Altre conseguenze, minori, ma spiacevoli, potrebbero essere l’espulsione di dipendenti Onu e diplomatici. Soprattutto, non va tralasciata la risonanza che un’azione legale di questa portata comporterebbe sullo scacchiere internazionale: il timore è che l’incriminazione trovi pareri contrari all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Dopo il recentissimo voltafaccia di Russia e Cina
alla votazione contro lo Zimbabwe di Mugabe, Pechino avrebbe tutto l’interesse a bloccare il provvedimento per evitare che i propri rapporti con il Sudan tornino sotto i riflettori; sarebbe davvero una brutta pubblicità in pieno clima olimpico. L’ambasciatore cinese Wang Guangya, ha già espresso chiaramente che portare avanti le accuse a carico di al-Bashir potrebbe mettere a repentaglio i negoziati di pace e il personale umanitario presente nella zona.

Di certo festeggiano senza riserve i rappresentanti dei gruppi ribelli, per i quali processare il Presidente sarebbe una vittoria storica per l’umanità:” Bashir ci ha ucciso per così tanto tempo e continua a farlo, cosa potrebbe accaderci di peggio? Non abbiamo paura della reazione”. Allora “good news for people in Darfur” e speriamo lo siano davvero.

1 commenti:

DAIDE ha detto...

Una buona notizia.Cominciamo la settimana cosi e speriamo per tutto l'anno.
Ciao belli/e